Riutilizzare un bene che non è ancora diventato rifiuto e riciclare ciò che invece già lo è. È questa la sfida da affrontare a tutti i livelli, dal singolo cittadino alle grandi aziende. Il tema del riutilizzo e del riuso non è più procrastinabile. L’emergenza ambientale impone nuove regole e nuovi standard per l’economia mondiale. I comportamenti virtuosi di chi sceglie di aggiustare piuttosto che buttare o di chi sceglie prodotti usati e recuperati in luogo di quelli nuovi è ancora poca cosa.
Spesso tendiamo a confinare il riuso in espressioni artistiche, pratiche ricercate di restauro di vecchi mobili o di realizzazione di capi con lavorazioni di materie riciclate. Ma non è così complicato come sembra. Riusare o riutilizzare significa dare una seconda vita a qualcosa che in quel momento non riteniamo utile, ma, in realtà, quella stessa cosa può essere adatta e funzionale per qualcun’altro. In quest’ottica stanno muovendo i primi passi i mercatini sostenibili promossi a livello locale dove gli oggetti usati vengono riproposti per una seconda o terza vita.
È ovvio che il passo da gigante deve essere fatto dalle grandi multinazionali. D’altronde, sono loro che producono la quantità enorme di rifiuti che ci circonda. Qualcosa già si intravede. Non tutti sanno che i colossi del commercio digitale stanno proponendo piattaforme “wharehouse” con grandi offerte su prodotti usati, di seconda mano o con confezione aperta. E che i grandi produttori di caffè italiani stanno avviando il primo progetto italiano di recupero delle capsule esauste che, ad oggi, vengono gettate nell’indifferenziato per dare loro una seconda vita.
Si sta facendo tanto, ma c’è ancora molto da fare. La cosa importante è che la consapevolezza aumenti e il nostro impegno in tal senso è massimo.